Installazione 592x366x266
Omaggio al Cabanon di Le Corbusier per la mostra “Entrez Lentement”, Cosmit, Milano 2005
Homeless. Al di là di tutto, a proposito del celebre Cabanon, devi fare i conti con l’effetto di fascinazione-repulsione che esso suscita. Dipende soprattutto dal fatto che quando ti trovi all’interno appare immancabilmente lo spettro di Le Corbusier: sei sovrastato dalla presenza di un grande mito dell’architettura del Novecento e sei coinvolto in sentimenti di ammirazione e repulsione. Per fortuna su tutto vince la prodigiosa cabina. L’interno del capanno con tutte le sue intenzioni dimostrative di una nuova concezione estetica pretende di avere il valore emblematico che ebbero per la prospettiva rinascimentale i pannelli a intarsio nel gabinetto del Duca di Montefeltro a Urbino. Lo spazio totale del Cabanon naturalmente è cubista piuttosto che prospettico, ed è regolato dall’inflessibile sistema di misure del Modulo rinventate dallo stesso Le Corbusier. Nel Cabanon non si può fare una distinzione tra spazio interno e arredo mentre si può fare una distinzione tra la costituzione formale del volume regolato dal modulor e l’inclusione o la sovrapposizione di elementi di altra provenienza. In effetti, la prima cosa che si vede arrivando dal sentiero di Roquebrune sul pendio della Costa Azzurra è il rustico involucro, quello di un rifugio di montagna se vogliamo seguire i suggerimenti di Adolf Max Vogt. Anche le inclusioni e le sovrapposizioni che si scoprono all’interno hanno una provenienza singolare. Ci sono oggetti recuperati ed esposti senza alterazioni come opere d’arte, quasi alla maniera di Marcel Duchamp, prelevati dalle cabine dei wagon-lit, come il wc dietro la tenda rossa con le sue implicazioni surrealiste e il minuscolo lavandino in acciaio con portasapone. Si trovano anche altre cose prodotte dall’attività dello stesso Le Corbusier come bricoleur (lampada ricavata da un reperto bellico trovato sulla spiaggia) o come artista “africano” con i celebri graffiti e le “sculture” in legno dipinto (nell’appendiabiti di fronte la porta d’ingresso). La presenza di questi elementi consente di distaccarsi dall’inesorabile teorema geometrico del Cabanon e di interpretare il capanno di Roquebrune con un atteggiamento più interessato agli aspetti del collage, dell’assemblaggio, della molteplicità dei linguaggi, e soprattutto vedere il Cabanon come un’abitazione di fortuna. Non sappiamo veramente se questo capanno solitario, opera di un ostinato genio dell’architettura, sia influenzato da certe visite alle favelas brasiliane ma certamente si presenta come una ostentazione della volontà di abitare in condizioni estreme. La figura del nobile selvaggio interpretata da Le Corbusier, la scelta dimostrativa nella costruzione della sua holiday cabin e l’esibizione di uno stile di vita da naturista (sia pure nella pausa estiva) sono gli aspetti da cui posso partire per fare un’installazione per una mostra dedicata al Cabanon stesso. Immagino che la mia installazione sia collocata ai margini di una metropoli contemporanea, in una di quelle zone dove si trovano le attuali capanne primitive delle favelas e la cardboard architecture degli homeless dove manca sempre qualcosa. Del resto nel Cabanon l’abitare non è presente in tutte le sue funzioni canoniche: se mancano alcune componenti essenziali sono nondimeno presenti, in modo ineguagliabile, altre funzioni supplementari e dalla radicale privazione emerge, inarrestabile, un’esigenza poetica. Immaginata dunque ai margini di una metropoli e non in un contesto naturalistico l’installazione 592x366x226 (in omaggio al modulor) descrive uno stato entropico che riguarda anche i punti forti della teoria: infatti, se il terreno prescelto prende in esame la porzione di una ipotetica baraccopoli inscritta nel perimetro di un rettangolo misurato dal modulor, a questa baracca sono progressivamente sottratte delle parti sino a essere ridotta a un mero assemblaggio di materiali. Al piano di giacitura squadrettato dalle geometrie del modulor lecorbusiano viene parzialmente sovrapposto un terreno irregolare da cui sorgono i residui o i primi indizi di alcune baracche. Attraversando l’installazione, il visitatore trova, quasi per caso, alcune cartoline con le immagini degli homeless e delle favelas: inclusioni e sovrapposizioni che mostrano, oltre la condizione di deprivazione, l’affi orare di un’insopprimibile vocazione poetica dell’abitare .
foto Cabanon © Paolo Rosselli